Le passioni in tutto.
Desidero le più lievi cose perdutamente come le più più grandi.
Non ho mai tregua.

Gabriele d'AnnunzioIl Vittoriale degli Italiani

Il Progetto

Rivestire il corpo per raccontare il ruolo dell’immaginazione come ponte tra l’uomo e la realtà. Coprire per rivelare la sapidità dell’impresa vivificatrice dei sensi che Gabriele d’Annunzio ha tracciato nella sua intera esistenza.

Questi sono temi che ben si legano alla storia della produzione del Calzificio DèPio, fondato nel 1947, a Botticino (BS), da Pio Chiaruttini e giunto sino ai nostri giorni coniugando le visioni più eclettiche e creative della storia della calza a livello internazionale come mezzo espressivo dell’identità e dello stile dei cosiddetti “arti inferiori”.

Possedere del fisico la mappa dei suoi percorsi emotivi è la gloria dello sguardo su ciò che dell’immanente ci proietta in una dimensione onirica. Attraverso questa mappa l’uomo esperisce la dimensione della bellezza.

Ogni parte anatomica risalta nella natura del dandismo dannunziano e tutto assume un ruolo centrale perché nulla è casuale nemmeno il caso.

L’approccio all’emozione appartiene all’arte poetica del Vate ma anche all’artigianato di chi come DèPio addiziona al piede ed affini la magia di costruzioni in maglia con i filati più pregiati e formulazioni grafiche e volumetriche al limite del possibile.

Piedi, gambe, dita… tutto è rivestito della luce del desiderio e della passione e assume un ruolo di primo piano. Ecco perché anche la calza assurge a protagonista come seconda pelle da dichiarare: rivelazione poetica, declamazione.

Il potere della lirica trama di un gesto regala all’armonia una epidermica aderenza alla volontà di “…fare della propria vita come si fa un’opera d’arte”. Questa espressione traduce a pieno titolo il modus operandi del Vate e di tutti coloro che ricercano la verità nella bellezza.

 

L’immagine è centrale e ciò che è “lieve” come ciò che è “grande” ha un ruolo.
Il dettaglio è tale solo terminologicamente perché di massimo rilievo.

La pratica di decorare i corpi scultorei di drappi di seta preziosa è solo uno degli aspetti autoriali di d’Annunzio in quanto ogni parte attiva della sua dimora (Il Vittoriale) è stata scenograficamente e coreograficamente gestita nello spazio e nel ritmo dal poeta.

Gli abiti della servitù (realizzati da Poiret) così come delle sue amanti (i più complessi erano fatti dalla Maison Paul Andrée Léonard di Milano) erano da lui pensati ed elaborati in coordinazione con l’emozione del ruolo e non con la funzione pratica.

Trasparenza e oblio creavano il dialogo tra le parti anatomiche in ombra e quelle in luce e al loro interno una sigla affermava l’identità dell’autore:

“Gabriel Nuntius vestiarius fecit”

In tale metrica si approccia il volto contemporaneo del progetto del Calzificio DèPio con il Vittoriale degli Italiani e il suo Vate.

La parte intima, rivelata come semantica attraverso la grammatica fluida del bello, assume l’onomatopea generata dalla rivelazione di una poetica intrinseca tra arte ed arti come parti concupite dal desiderio dell’uomo e di d’Annunzio regista ed attore di questa scena, ieri come oggi, ispiratore e protagonista.

I passi nel “Piacere” di un neo Andrea Sperelli (suo alter ego) contano l’infinito ritorno a questa fruizione estetizzante ricercata in ogni dettaglio e vestono dell’attenzione alle sensazioni le loro manifestazioni in un crescendo di scoperta dell’emozione del corpo deificato dall’arte e dalle sue tracce.